Il Farro della Garfagnana IGP

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Il farro (Triticum dicoccon Schrank) è una graminacea, dal fusto eretto e resistente e dalla foglia lineare, che cresce nelle zone di montagna. Si distingue dai classici frumenti coltivati perché mantiene le cariossidi vestite (ricoperte dalle glume e glumette) a fine trebbiatura. Per l’eliminazione degli involucri esterni è necessaria una successiva “svestitura”, (brillatura) inconveniente che, insieme alle basse rese, ha nel tempo provocato il quasi abbandono della coltura, proseguita solo in aree marginali.

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Il farro è uno dei più antichi cereali utilizzati dall’uomo. La sua coltivazione risale ad almeno 7000 anni a.C. E’ stato l’alimento base degli Assiri, Egizi e di tutti i popoli antichi del Medio Oriente e del Nord Africa. Secondo recenti studi il luogo di origine dovrebbe essere la Palestina, dove è tutt’ora diffusa una specie spontanea di farro (triticum dicoccoides); da questa regione grazie ai pastori nomadi, si pensa che la coltivazione sia stata portata in tutte le regioni allora conosciute.

E’ appurato che addirittura fin dall’età del bronzo fosse coltivato anche in Italia, come testimoniano i ritrovamenti di alcuni semi di farro fra gli indumenti della “mummia dei ghiacci”, ovvero l’uomo di Similaun, risalente all’incirca al 2000 a.c.

Diffuso tra i Greci, che lo chiamarono “olyria” o “chondros” per via della farina bianchissima che se ne otteneva, venne poi largamente coltivato in epoca romana tanto da divenire il piatto forte dei Romani, durante la loro avanzata nel mediterraneo. Il “puls” o farratum era un piatto tradizionale e di buon augurio, segno di abbondanza e fertilità, offerto agli sposi, e parte sostanziale, insieme al sale, della paga dei centurioni romani.

Erano molto apprezzati anche la “mola salsa” preparata con la farina di farro tostato e sale ed il “Libum” (una specie di torta di farro) che venivano offerti agli Dei durante i sacrifici propiziatori. A tutti gli Dei campestri, ma in particolare a Demetra, la Dea della terra, venivano offerti sale e chicchi di farro per propiziare un buon raccolto durante le “idi di marzo”.

 

Anche nella Bibbia (Ezechiele 44-30) si cita con il nome ebreo di “Arisab” il farro. Ancora oggi con questo cereale si fa il piatto nazionale in Libano, Libia, ed in quasi tutto il Medio Oriente, anche si si chiama in modi diversi (Taboulé, Kibbé, Salf). In genere questi piatti risultano più o meno essere le stesse “pietanze”, cioè una specie di minestrone molto denso di farro “ammollato” (a crudo o cotto) mescolato a ceci, menta, olio di oliva e pepe con il quale si farciscono tenere foglie di fico appena germogliate.

C’è anche il “Kibbé libanese”, composto da farro ammollato e bollito con carne di pecora cotta nel sugo di pomodoro. Il “Kibbé libico”, ma è comune e conosciutissimo anche in Tunisia ed in Marocco, è costituito invece di farro ammollato e bollito, filletti di pesce, zucca spezzettata e spicchi di noce. Il farro è stato anche ampiamente utilizzato a scopo medicamentale e tante sono le antiche scritture che riportano cure con questo prezioso alimento.

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La coltivazione dei cereali in Italia

Nella pianura padana si praticava l’agricoltura già nella prima età neolitica. La più antica testimonianza della coltivazione del grano proviene da Vhò (Piadena, presso Cremona), ove già verso il 4300 a.C. si seminava un frumento primitivo, il farro piccolo (Triticum monococcum), la più esile di tutte le specie di frumento coltivate. Il farro piccolo presenta spighe verdigialle sempre erette, appiattite lateralmente. Le singole spighette, con due fiori, sono ordinate su due file. Matura per lo più solo il fiore più basso di ogni spighetta da cui la denominazione “monococco”. Il farro piccolo è “vestito”; cioè i chicchi, anche maturi, restano avvolti tenacemente dalle giumelle; a differenza dei grani “nudi”, nella trebbiatura si staccano solo le spighette e per liberare i chicchi dalle giumelle bisogna arrostirli in un forno di essiccazione.

Nel Neolitico il cereale più importante era il farro piccolo (Triticum monococcum), seguito dal farro grande (Triticum dicoccum) e dall’orzo (Hordeum vulgare). In Italia Settentrionale l’inventario delle piante allora coltivate coincide con quello del vicino Oriente, ove si era verificata la “rivoluzione” agricola.

Nel medio e tardo Neolitico l’agricoltura si diffuse anche nell’area alpina interna; i contadini penetrarono da sud nelle vallate, come risulta dalla precoce presenza di cereali nelle province di Brescia, Trento e Bolzano. Oltre ai due cereali citati si coltivava allora anche il farrogrande (Triticum dicoccum), un altro grano “vestito”, molto affine al farro piccolo (Triticum monococcum). Le spighe del farro grande sono più pesanti e pendenti se mature; le spighette hanno tre fiori e ne maturano di solito due, il raccolto, quindi, è più redditizio.

In età romana si verificò un cambiamento radicale nella coltivazione dei cereali: nelle Alpi Centrali assunsero fondamentale importanza l’orzo (Hordeum vuigare) ed il farro grande (Triticum dicoccum), seguiti dalla spelta (Triticum spelta) e dal grano nano (Triticum aestivum compactum); nel corso del tempo il farro piccolo perdette rilevanza e fu coltivato solo marginalmente; rispetto al panico (Setaria italica) s’impose il miglio (Panicum miliaceum).

Per l’alto Medioevo o età delle migrazioni barbariche le indagini danno circostanze di conservazione sfavorevoli. Per i cereali coltivati prosegue la tendenza delineatasi durante l’età romana. I prodotti più importanti restano il farro grande (Triticum dicoccum) e l’orzo (Hordeum vulgare), seguiti da frumento nano (Triticum aestivum compactum) e spelta (Triticum spela); il farro piccolo (Triticum monococcum) veniva coltivato soltanto in zone con clima rigido, dove non crescevano nè il frumento nano nè la spelta.

Anche per il Medioevo, dai reperti finora disponibili, si profilano mutamenti pressoché insignificanti rispetto all’età romana. Nelle Alpi Centrali il frumento nano viene al secondo posto per importanza, dopo l’orzo. Aumenta anche la coltivazione della segale.

La Garfagnana è l’unica zona che, per una solida tradizione agricola ed un ambiente naturale particolarmente vocato, ha continuato a produrre e commercializzare il farro, rappresentando in Italia la zona di produzione per eccellenza di questo cereale che gode di un buon apprezzamento in funzione della sua unicità e qualità.

La semina avviene, utilizzando seme vestito nei mesi di Ottobre-Novembre, su terreni idonei, in una fascia altimetrica che varia tra i 300 e i 1000 m s.l.m.

La raccolta avviene in estate, di solito nel mese di luglio; la granella di farro deve poi essere “brillata”, privata cioè delle glume e di una parte del pericarpo. Questa operazione viene effettuata con particolari molini a macine o, come avviene attualmente, mediante semplici macchine atte allo scopo.

Il farro della Garfagnana viene utilizzato in alcune saporite e tradizionali ricette della cucina garfagnina. I piatti tipici sono la zuppa di farro e le torte. Può essere inoltre utilizzato in cucina per qualsiasi piatto in sostituzione del riso e della pasta.

Trasformato in farina viene utilizzato per la preparazione di paste, focacce, dolci e biscotti.

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I Dati Produttivi

In Garfagnana si coltivano più di 200 ettari per una produzione complessiva superiore alle 400 tonnellate.
Il Disciplinare di Produzione per il Farro della Garfagnana IGP prevede una produzione massima di 25 quintali per ettaro, che si riducono a non più di 15 quintali dopo la lavorazione.
I Comuni con le maggiori produzioni sono Piazza al Serchio, San Romano e Giuncugnano dove si concentrano anche le maggiori superfici coltivate.

La Modulistica

  • ISCRIZIONE ALL´ALBO DEI PRODUTTORI

  • DENUNCIA DI COLTIVAZIONE

  • DENUNCIA DI PRODUZIONE

Le Ricette

  • La “Zuppa di Farro
  • La “Torta di Farro Salata
  • L'”Insalata Fredda di Farro
  • Il “Budino di Farro